La controffensiva delle multinazionali discografiche per fermare il furto di canzoni metodi da hacker
Musica, la guerra delle major un virus contro i pirati del Web
dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI
SAN FRANCISCO - Le multinazionali del business discografico si convertono alla pirateria: virus distruttivi, attacchi paralizzanti contro i computer di chi copia la musica gratis. "A la guerre comme à la guerre", ogni mezzo è lecito per difendere i profitti sui cd. Minacciate dal dilagare dei software che consentono di copiare la musica da Internet, abbandonate da una generazione di teen-agers (e non solo) abituata a confezionarsi i dischi in casa senza pagare, le grandi aziende discografiche americane rispondono con le stesse armi. Assoldano mercenari che conoscono tutte le armi degli hackers. Al grido di "colpirne uno per educarne cento", sperano di intimidire i milioni di ragazzi che ormai consumano musica a sbafo, senza passare nei negozi di cd e senza versare un centesimo di diritti d'autore.
I cinque colossi del business musicale - Universal, Warner, Sony, Emi e Bmg - hanno dichiarato una guerra senza quartiere contro il fenomeno di massa che è sfuggito ad ogni controllo. Si calcola che cento milioni di consumatori sono andati almeno una volta su Internet per scaricare i brani musicali e inciderseli su un cd "vergine". È furto di copyright, è pirateria, protestano le imprese del settore che vedono scendere a rotta di collo le loro vendite: solo nel 2002 hanno perso 4,3 miliardi di dollari per la musica "rubata" online. Due anni fa, quando il fenomeno cominciava ad affermarsi, l'industria discografica credette di poterlo soffocare sul nascere a suon di processi. L'inizio fu promettente.
Una sentenza del tribunale di San Francisco decretò la morte di Napster. Napster era il sito pioniere per il software che facilita il cosiddetto file-sharing e cioè la messa in comune gratuita di brani musicali fra una miriade di consumatori. Ma fu una vittoria effimera e illusoria. Dalle ceneri di Napster sono nate decine di siti analoghi, che hanno avuto l'accortezza di stabilire la loro sede sociale non nella Silicon Valley, ma ben lontano dai tribunali americani: per esempio nell'isola di Vanuatu in mezzo al Pacifico (Morpheus) o nell'isola caraibica di Nevis (Grokster).
E comunque la società che ha creato questi due siti, StreamCast Networks, in aprile è stata assolta dal giudice distrettuale della California Stephen Wilson: non è perseguibile per le violazioni della legge sul copyright commesse dagli utilizzatori del file-sharing. Frustrata nella guerra contro i siti, l'industria discografica ha rivolto l'offensiva giudiziaria direttamente contro i consumatori finali. Due studenti universitari di Los Angeles sono state le prime vittime; avevano organizzato in modo artigianale un loro network per la diffusione tra amici di musica gratis; gli avvocati delle grandi aziende li hanno beccati, trascinati in tribunale, e la settimana scorsa i due hanno perso il processo: multati per 17.000 e 12.000 dollari a testa. Ma la condanna esemplare non ha spaventato i loro coetanei.
A questo punto entrano in azione i commandos di pirati assoldati dalla grande industria. E' l'ultima arma a disposizione del business discografico, e anche la più rischiosa per le controreazioni che può suscitare. Il "New York Times" ha rivelato i nomi di due di queste società mercenarie, Overpeer e MediaDefender, che lavorano nell'ombra per conto delle grandi multinazionali musicali. La loro missione è il sabotaggio. Mettono a punto dei virus capaci di penetrare le difese dei computer di chi sta copiando musica, e di paralizzarli rendendone lentissimo l'accesso a Internet. O peggio, possono cancellare e distruggere per sempre la musica già registrata illecitamente...insieme con altri programmi memorizzati legalmente.
Se usati in questi termini sono atti di guerriglia. "Paralizzare o danneggiare i computer dei privati cittadini è un modo per farsi giustizia da soli, assolutamente illegale" secondo il giurista Lawrence Lessig dell'università di Stanford. Un azzardo per le multinazionali: già impopolare tra i giovani, l'industria discografica rischia di mettersi anche dalla parte del torto.
Perciò alcuni preferiscono metodi più morbidi. Programmi che penetrano nei siti di file-sharing e lanciano avvisi: "State commettendo un reato perseguibile per legge. C'è un solo modo per evitare la punizione: non rubate la musica". Anche la pop-star Madonna si è impegnata in un'operazione simile, detta cavallo di Troia. La cantante ha infilato un brano del suo ultimo cd nei siti-pirati, in una versione modificata dove lei apostrofa i suoi fan con un "Ma che c...state facendo?!" Pessima idea. La vendetta non si è fatta attendere. Gli hacker hanno saccheggiato il suo sito personale e i "furti" di brani di Madonna sono schizzati alle stelle.
In pochi anni una generazione di teen-agers si è abituata all'idea che, almeno nel campo musicale, la proprietà privata è illegittima. Sradicare quest'idea sovversiva, e la pratica della gratuità , non sarà facile. Forse gli industriali del settore potrebbero provare ad abbattere il prezzo stratosferico dei loro cd, e accontentarsi di margini di profitto un po' più bassi, come suggerisce la Apple di Steve Jobs. Sempre meglio che perdere la faccia assoldando le teste di cuoio del sabotaggio informatico.
(8 maggio 2003)
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